La musica

Napoli, una sfida porosa di coraggio e musica

da alcune suggestioni di Laura Valente

Nikolaus Harnouncourt, musicologo e direttore d’orchestra austriaco, scrisse di Mozart: «In lui vi è tutta la pienezza della vita: dal dolore profondo alla gioiapura. Esprime i conflitti più duri, spesso senza offrire soluzione». Questa celebre dichiarazione d’amore può, per diritto di cronaca, essere estesa alla Campania, a Napoli e alla sua “rete” musicale straordinariamente vivace e produttiva. Impossibile in questa sede addentrarsi in una descrizione, anche se sintetica, della fitta trama di istituzioni che dal teatro di San Carlo in primis si dirama alle organizzazioni, alle fondazioni, alle associazioni, agli ensemble, ai conservatori, ai direttori, ai compositori, ai cori, ai solisti, ai cantanti, ai musicologi, alle biblioteche e agli archivi musicali, tutti partecipi, con la propria identità “per il tempo in cui è dato loro di vivere” di un sistema musicale straordinariamente articolato e composito, come ricca è la storia da cui quel sistema trae linfa e si sviluppa. Una visione d’insieme della vita musicale di tutto il territorio regionale ci restituisce una ricchezza di fermenti e di proposte dove le programmazioni concertistiche cosiddette “classiche” di più antica e consolidata tradizione, convivono, alternandosi, con le programmazioni di ricerca e sperimentazione di nuove frontiere sonore, cui si affiancano quelle tese a restituire, con la stessa magia creativa di un tempo, i capolavori di un passato glorioso come fu quello fiorito tra Sei e Settecento a Napoli. Se si getta uno sguardo alle sole esperienze condotte dall’inizio del ‘900 ad oggi, ci si trova di fronte ad una molteplicità di percorsi intrapresi dalle diverse organizzazioni musicali regionali. Ognuna di queste esperienze, con la sua missione e fisionomia peculiari, ha potuto trarre ispirazione e capacità di invenzione, attingendo dall’inesauribile bacino di una grande “scuola musicale” la cui ricchezza espressiva si è tenacemente stratificata nei secoli. Un errore sarebbe quello di classificare gerarchicamente le singole realtà, ognuna nel contesto in cui ha operato ha aggiunto valore, ha arricchito il pubblico con cui si è relazionato, ha raffinato le qualità professionali di musicisti e cantanti, ha rappresentato un’occasione di richiamo per un turismo di qualità e di provenienza internazionale, ha operato per una crescita sociale in contesti prima depressi e isolati, ha aperto orizzonti di ascolto inediti o sconosciuti. Questo patrimonio è un bene collettivo cui si deve poter dare possibilità di espressione e di sviluppo. Come nei dipinti di eremiti del Trecento, tra le rocce si scorge qua e là una porta. …La città è rocciosa. È porosa. Negli anni Venti Walter Benjamin non è il solo filosofo tedesco a fermare la sua attenzione su una Napoli lontana dall’oleografia. Lì la vita privata è frammentaria, porosa e discontinua, scrive Ernst Bloch, ipnotizzato da uno stile di lingua in cui l’articolazione delle vocali è aperta, vuole farsi notare, nessuno se ne sta lì nella ruvida scorza di una colonna, nella solitudine di una statua antica, rapidi gesti riversano ancor più laparola, porgono in giro, dai dialoghi nasce un coro.

 

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